Se ho visto più lontano è perché sono salito sulle spalle dei giganti che mi hanno preceduto.
Isaac Newton
Google Scholar, il servizio di ricerca di Google che consente di cercare informazioni all’interno di testi della letteratura accademica, utilizza il motto “Sali sulle spalle dei giganti” ispirato esplicitamente alla frase di Newton che, a sua volta, risale a uno scritto del sec. XI di Giovanni Salisbury, filosofo inglese, il quale – citando a sua volta un altro pensatore – disse: “Bernardo di Chartres diceva che noi siamo come nani che siedono sulle spalle di giganti, di modo che possiamo vedere più cose e più lontano di loro, non con l’acutezza del nostro sguardo o con l’altezza del corpo, ma perché siamo portati più in alto e siamo sollevati ad altezza gigantesca“.
Questo significa che un motore di ricerca ha inventato un motto ispirato a Newton che ha citato Salisbury che riportando Bernardo di Chartres ha creato una metafora fondante della cultura occidentale, ovvero che studiando i grandi – conoscendo il pensiero di chi ci ha preceduto – possiamo portare la nostra visione ancora più lontano.
Grandissimi studiosi hanno ritenuto di citarsi a vicenda, senza la necessità di far passare per proprio un pensiero, proprio perché citare i grandi riconoscendo la paternità delle loro idee e del loro pensiero, non vuol dire sminuire se stessi ma vuol dire dimostrare che – tramite la propria cultura e conoscenza – si è in grado di lanciare il proprio sguardo oltre, ancora più avanti.
Oggi, soprattutto sul web e sui social media, è diventata pratica quotidiana e comune esporre citazioni più o meno colte in modo intensivo, spesso senza soffermarsi a pensare in modo specifico al significato di quella citazione e senza soffermarsi ad aggiungere qualcosa di proprio al concetto che si sta divulgando.
Questa abitudine sta degenerando nell’uso di utilizzare frasi o testi altrui senza citare la fonte originale (sottintendendo che sia farina del proprio sacco), riportando in modo non corretto la citazione (spesso arricchendola con vistosi errori di grammatica) o – nella peggiore delle ipotesi – facendo entrambe le cose insieme.
Questa attività poco edificante ha un nome, nella lingua italiana: si chiama plagio, la definizione che ho voluto mettere in bella evidenza nell’immagine di riferimento di questo post. Si fa un plagio quando ci si appropria e si spaccia per propria un’opera d’ingegno o artistica, in modo completo o parziale.
Eticamente questa cosa è a mio parere molto discutibile ma, da convinta sostenitrice del libero arbitrio e della propria responsabilità personale, da questo punto di vista ognuno deve fare i conti con il proprio sistema di valori.
Volendo però valutare questa pratica in ottica di marketing e in particolare di personal branding, vorrei capire insieme a te come e quando usare citazioni “colte” può essere un gesto utile per promuovere il proprio brand e quando invece diventa negativo o addirittura deleterio.
Le citazioni di autori famosi o grandi pensatori servono
- ad attirare l’attenzione, a esprimere in modo diretto concetti complessi,
- a suffragare proprie tesi
- e anche, perchè no, ad “associare” il nostro nome a quello di un grande riconosciuto universalmente.
Il concetto, insomma, dovrebbe essere: cito Einstein e, anche se non sono Einstein, l’ho studiato e la penso come lui.
Quando riusciamo a dare questa impressione in modo reale e concreto?
Quando la citazione è coerente al contesto e quando – soprattutto – riusciamo ad accompagnarla, spiegarla o commentarla con una nostra argomentazione originale che ne dia un ulteriore significato o una nuova lettura.
Nella stra-grande maggioranza dei casi, invece, le citazioni vengono semplicemente condivise e ricondivise, riempiendo i profili di frasi tutte uguali, che ne vengono banalizzate, perdono la loro carica espressiva e non aggiungono nulla alla vita di chi se le ritrova sul proprio cammino.
Un profilo carico di citazioni condivise a caso e senza un proprio contributo originale non valorizza il personal brand del suo titolare, non offre nulla di interessante ma, al contrario, fa pensare a una persona che non ha nulla di proprio e di originale da dire.
Utilizzare il plagio, ovvero copiare tratti di testo, articoli o brani di altri facendoli passare per propri è poi ancora peggio.
- Capiterà la volta che qualcuno se ne accorgerà e verremo sbugiardati pubblicamente.
- Capiterà che anche se questo non accade il linguaggio e il tono usati non saranno coerenti con il proprio linguaggio ordinario e questo darà la sensazione “di qualcosa di strano”.
- E se anche saremo riusciti nel “delitto perfetto” avremo perso l’occasione di utilizzare l’insegnamento di un grande per salire sulle sue spalle e guardare oltre e raccontare al mondo che non si ha paura di dire che si può imparare da altri, citandoli, per dare poi il proprio contributo originale al pensiero.
Per fare marketing e, in particolare,
personal branding
non basta dire cose,
bisogna avere qualcosa da dire.
La cultura, l’apertura mentale, l’intelligenza creativa sono fondamentali nella costruzione e nella comunicazione del proprio carisma. Ma farsi una cultura vera, ragionare, pensare e creare sono attività che richiedono impegno, applicazione e fatica, non sono disponibili per il copia e incolla.
PS: per trovare una storia adatta ad aprire il post mi sono documentata, non erano cose che sapevo già. La fonte è semplicemente Wikipedia. Sono partita dalla citazione – che conoscevo – e ho fatto una ricerca e questo mi ha consentito di trovare uno spunto per contestualizzare in modo – spero – più efficace, l’argomento del post.
piucchegiusto! non fa una piega