Indubbiamente, oggi, due dei problemi principali del nostro paese e, in generale, della nostra società sono la disoccupazione e la difficoltà per i giovani diplomati e laureati a trovare una collocazione soddisfacente nel mondo del lavoro.
Le statistiche sulla disoccupazione giovanile in Italia sono raccapriccianti (si parla del 43%) e la situazione economica non fa ben sperare.
Oltre a indignarsi e ad allarmarsi, però, bisogna anche soffermarsi a guardare la situazione in modo più approfondito e cercare delle strategie vincenti e nuove per superare l’ostacolo.
A fronte di dati così allarmanti, infatti, c’è anche una generale difficoltà espressa dalle aziende nel trovare collaboratori adeguati, che siano in grado di gestire la realtà contemporanea e che abbiano la giusta motivazione nei propri compiti quotidiani.
Il mondo è cambiato, si sono create molte figure professionali nuove legate alla comunicazione, alla gestione del cambiamento e dell’innovazione, alle tecnologie dell’informazione. Ma spesso questa evoluzione si scontra con un sistema formativo vecchio, che non ha saputo stare al passo con i tempi.
I nostri nativi digitali si trovano a operare con una grande manualità relativa agli strumenti (nella peggiore delle ipotesi sono cresciuti con un Game Boy in mano, nella migliore hanno iniziato a scrivere sulla tastiera del PC) ma senza aver avuto una guida nel crearsi un bon ton, una buona pratica della comunicazione on line per la propria crescita.
I loro insegnanti, i loro genitori sono avulsi da questa realtà in cui i giovani si trovano a crescere senza guide, e l’essere cresciuti in ambienti digitali porta inevitabilmente, insieme a tanti vantaggi cognitivi, una tendenza alla superficialità, la difficoltà nell’organizzazione della conoscenza, una carenza importante nella capacità progettuale e di sintesi tipiche della formazione “analogica”.
Sabato scorso, 8 novembre 2014, sono stata chiamata per un intervento rivolto a studenti di superiori e università ad Angri, per fornire il mio contributo a questa giovane e brillante audience, proprio in merito alle migliori strategie da attuare per riuscire a collocarsi nel miglior modo nel mondo del lavoro. Considerata la mia esperienza e le mie specializzazioni ho ritenuto di impiegare il tempo che mi è stato concesso per fornire loro una nuova visione della modalità con cui costruire il proprio personal branding e sfruttare la rete per realizzare i propri obiettivi professionali.
Il curriculum è morto…
Questo è il primo importantissimo dato di fatto che va fronteggiato. Chiaramente si tratta di una provocazione: è vero che il curriculum rimane un documento necessario di presentazione delle proprie competenze, uno standard. Ma è altrettanto vero che si tratta di un inizio, uno strumento che deve aprirci le porte ma che non sempre è significativo per la scelta finale.
Quando ci si propone, la prima cosa, più importante del curriculum, è la lettera di presentazione, ovvero quel breve testo che devo attirare l’attenzione del selezionatore, fargli capire che avete una buona motivazione, obiettivi chiari e competenze specifiche, che vi siete informati sull’azienda e che avete umida del ruolo che potreste ricoprire nell’azienda stessa.
Spesso la lettera di presentazione non viene curata, alcune volte addirittura omessa, a volte si limita a poche righe, generiche, che non trasmettono alcuna informazione specifica.
…ora c’è il personal brand!
Oggi si va in rete per trovare il ristorante dove cenare o per il film da andare a vedere al cinema: figuriamoci quando si deve assumere qualcuno o affidare a qualcuno un progetto.
Una volta che il curriculum è stato letto e ha raccolto un certo interesse, il selezionatore farà un’operazione molto semplice: si collegherà a Google e scriverà il vostro nome e cognome per vedere cosa viene fuori.
Qui si consuma il vero momento della verità e tre cose potranno succedere:
- che sarete presenti in modo coerente con un apporto positivo e significativo di contenuti e relazioni coerenti con l’ambito in cui volete collocarvi professionalmente
- che sarete presenti ma in modo negativo, discontinuo o addirittura nefasto,
- che sarete assenti.
Se la vostra presenza è coerente e positiva partite bene: la persona che sta cercando di capire chi siete si farà una buona impressione di voi. Se avete pubblicato dei contenuti che riguardano direttamente o indirettamente il settore di riferimento sarà ancora meglio, se avrete un’immagine gradevole e rassicurante guadagnerete punti in più. Non prenderete così il lavoro, sia chiaro: la partita vera si gioca di persona, al colloquio. Ma sicuramente avrete creato un pregiudizio positivo che vi aiuterà ad emergere, ad essere ricordati e quindi il percorso sarà più semplice.
Una presenza negativa farà l’effetto opposto, ovviamente, e – a parità di condizioni (ad esempio su curricula equivalenti) – se fornirete un’immagine negativa di voi, di persone volgari, sciatte o piantagrane (ad esempio) potreste anche non venire chiamati neppure per il colloquio.
L’assenza in rete è attualmente vissuta come sospetta: una persona oggi che non è presente in rete è “strana”. Avrà qualcosa da nascondere? é un asociale? non è in grado di utilizzare la tecnologia?
Personal branding, ovvero l’inbound marketing della carriera
C’è un altro aspetto molto importante di questo approccio: lavorare nella costruzione di un proprio personal brand coerente ed efficace significa anche “farsi trovare” dalle aziende e dagli ambiti che ci interessano.
Se avete una passione o una competenza specifica e desiderate che la vostra occupazione segua questi interessi, iniziate a parlarne: scrivete un blog, frequentate attivamente gruppi di discussione a tema, seguite su LinkedIn le imprese che se ne occupano. Gradualmente si costruirà un network di contatti che condividono questa passione e molto probabilmente che già operano in quel settore. Se oltre alla conoscenza specifica avete anche una buona formazione tecnica e di merito, diventerà più facile che siano le opportunità a venirvi a bussare alla porta.
Cosa fare quindi?
Iniziare a lavorare in questa direzione fin da subito, già dalla scuola:
- evidenziare quali sono i propri interessi e le proprie specializzazioni, definire con precisione (e realismo) quale potrebbe essere l’impiego dei propri sogni e darsi questo obiettivo
- costruire la propria immagine in rete:
- fare un piccolo investimento per farsi fare qualche scatto professionale, in modo da avere un’immagine di sé pubblicabile e coerente che ci renda riconoscibili su tutti i canali in cui saremo presenti,
- crearsi una mini immagine coordinata, possibilmente sobria e delicata, anche in questo caso coerente con il settore a cui siamo interessati
- fare il proprio sito web, possibilmente sotto forma di blog, anche utilizzando canali gratuiti come wordpress.org o tumblr.com
- essere presenti sui social (non tutti: bisogna scegliere dove si vuole essere e cercare di esserci al meglio)
- pubblicare contenuti validi e interessanti, coerenti con il proprio obiettivo. Ciò non significa che non bisogna scrivere d’altro. Anche parlare di sé, delle proprie impressioni e della propria vita personale va bene. Pur di mantenere un giusto equilibrio tra la propria immagine, i propri obiettivi e il risultato della famosa ricerca su Google da cui siamo partiti.
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