Prendo spunto dall’analisi del bravo Luca Pianigiani che sulla recente decisione di Burberry di affidarsi all’obiettivo del maggiore dei baby Beckam per la propria nuova immagine pubblicitaria. Sono ovviamente convinta che l’unica ragione per cui il “piccolo” sia stato scelto sia la sua notorietà e, pur condividendo quanto dice Luca (“non è detto che non sia bravo solo perchè è famoso“… in fondo – dico io – in mezzo alle foto di moda e alle paparazzate ci è cresciuto), ritengo che le valutazioni più importanti siano quelle che riguardano il ruolo del fotografo come “comunicatore”. Siamo tutti obbligati oggi a ‘essere qualcuno’ e non solo a ‘saper fare qualcosa’.
La propria competenza non è nulla senza la capacità di comunicare, senza il carisma di essere, senza una base di supporto. A fronte di una diffusa mediocrità, avendo disponibilità di infiniti mezzi tecnici che ci permettono di rendere accattivanti opere di per sé banali, avendo la possibilità di usare linguaggi visivi non originali ma facilmente comprensibili ai più, anche la scelta del fotografo è dettati da criteri di visibilità: lui ha 6 milioni di followers su Instagram, ha un nome importante, lui è la campagna pubblicitaria, prima ancora che le sue fotografie.
E aggiungerei un dato non sottolineato da Pianigiani: lui ha 16 anni, quindi, un immediato immenso spot per un marchio finora posizionato su una fascia di età decisamente più matura.
Beckam si chiama Brooklin, è ricco, è famoso anche senza aver fatto nulla, come prima di lui un’altra vip con il nome di città (Paris Hilton) e famosa per il solo fatto di avere la possibilità di esserlo per nascita. In un mondo in cui la ricchezza è valore in quanto tale e non come premio di una capacità o di un risultato raggiunto, l’icona scelta da un brand così “serio” come Burberry incarna esattamente quanto può arrivare.
In definitiva forse neanche conta che questo ragazzo faccia fotografie, che le scatti con una Leika o con un iPhone: è la comunicazione che lo rende vincente, per un obiettivo specifico, targettizzato, definito, verso un modo che noi over 30 forse riusciamo a percepire solo da lontano.
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